Il consiglio di istituto di una scuola media di Firenze ha deliberato di sospendere per un mese l’uso del registro elettronico per le comunicazioni scolastiche e di tornare alle annotazioni a mano sul diario cartaceo.
Il preside ha chiarito alla stampa che la misura adottata mira a «stimolare dibattito e riflessione sulla perdita di competenze di base dovuta alla comodità tecnologica». Tenere un diario, infatti, oltre a incoraggiare l’autonomia degli studenti riducendo la loro dipendenza dai dispositivi informatici, favorisce l’attenzione durante le lezioni e l’interazione diretta tra docenti e discenti.
Da tempo noi di ContiamoCi! cerchiamo di infrangere la cappa di conformismo acritico calata sull’utilizzo di uno strumento - il registro elettronico - che, di fatto, in nome della trasparenza, dell’efficienza e della modernità, è stato imposto nella pratica quotidiana delle scuole di ogni ordine e grado benché non ne sia mai stata perfezionata la procedura normativa di adozione. Il DL 95/2012, convertito nella legge 135/2012 recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”, stabiliva infatti all’art. 7 che, entro 60 giorni dalla entrata in vigore del decreto, il ministero dovesse predisporre un “Piano per la dematerializzazione”, che a sua volta implicava la necessaria approvazione della Autorità Garante. Il Garante della Privacy non si è mai pronunciato né quel piano è mai stato adottato: ciò che appare come un obbligo imprescindibile, dunque, non lo è.
Ma non solo: lo strumento che viene presentato come irrinunciabile al fine di semplificare la gestione burocratica e amministrativa dei servizi scolastici e di consentire alle famiglie una costante supervisione sulle attività dei propri figli, presenta una serie di controindicazioni ormai evidenti. Finalmente una scuola rompe ora l’incantesimo.
Le dinamiche alimentate dall’uso/abuso del registro elettronico si scontrano innanzitutto – come bene sottolinea anche il preside di Firenze – con l’esigenza educativa di scongiurare il fenomeno diffuso della dipendenza dai dispositivi informatici, la cui gravità è sotto gli occhi di tutti ed è stata spiegata con chiarezza dirimente nel documento pubblicato il 9 giugno 2021 dalla Settima Commissione permanente del Senato, a conclusione dell’indagine conoscitiva “sull’impatto del digitale agli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento”; documento che lo stesso ministro Valditara ha inviato a tutte le scuole d’Italia in allegato alla circolare del 20 dicembre 2022.
Ci sono tuttavia altri aspetti che meritano opportuna riflessione.
Il registro elettronico si rivela come un ostacolo nel graduale processo di acquisizione di autonomia e indipendenza da parte dello scolaro, al quale sottrae un’attività fondamentale come quella di scrivere sul proprio diario le consegne, i compiti e le annotazioni comunicate dagli insegnanti; di organizzare il lavoro per casa avendone una percezione progressiva e conservandone traccia visibile; di ordinare nel tempo i vari adempimenti da svolgere anziché recepirli da mero fruitore passivo.
Non più padrone del proprio diario, lo scolaro viene obbligato dalla stessa istituzione al possesso e all’uso prolungato di un dispositivo digitale, a dispetto dei danni psicofisici che ciò comporta.
Il registro elettronico si rivela come un intruso in grado di stravolgere, in maniera subdola quanto pervasiva, la faticosa ma sana relazione tra genitori e figli, fatta di continua ricerca di reciproca comunicazione e fiducia. La sostituisce con un rapporto, di certo molto meno impegnativo, fondato sul controllo unilaterale e diretto dei genitori sulla vita scolastica dei figli, persino durante le ore di frequenza, ovvero dentro un tempo e uno spazio che sono sempre stati esclusiva degli studenti insieme ad altri adulti di riferimento. La circostanza che voti, ritardi, note, possano essere conosciuti immediatamente da casa, impedisce al giovane di rendersi il primo tramite tra la sua scuola e la sua famiglia: lo si priva così di una preziosa occasione di crescita personale e lo si deresponsabilizza. Scriveva Mariapia Veladiano su la Repubblica del 2 gennaio 2013 (“Perché il registro elettronico è un’illusione educativa”): «Anche se il figlio non parla di scuola, con il registro elettronico il genitore comunque "sa" quel che conta. Il voto. L'assenza. Il marinare la lezione. Subito. L'istante che ci domina. Non c'è per il ragazzo quel tempo sospeso tra ciò che capita e il momento in cui se ne deve o può parlare. Il tempo di pensare, il dispiacere per il voto preso, il proposito di rimediare, il dire sì, è un brutto voto, ma con la promessa già pronta: sto studiando, domani mi faccio interrogare. O sperare che l'impulso di una mattina in fuga da scuola non sia scoperto. Capire da sé che non va bene. Poter ricominciare da un voto non scoperto e riparato, da un bigiare di cui ci si dispiace da soli. Come non c'è per i genitori il tempo per dedicare attenzione a quel che capita, interpretare i segnali, le parole non dette, aspettare quelle che possono arrivare se si lascia il tempo».
Da ultimo, il registro elettronico si rivela come un’arma impropria nelle mani del docente disinvolto che, abusando del mezzo a sua disposizione, si ritenga legittimato a inserire materiali e consegne a tutte le ore e in tutti i giorni della settimana, in tal modo costringe i propri allievi a un controllo ripetuto e, quindi, a una connessione perpetua. Ma lo stesso vale per i dirigenti nei confronti dei propri docenti.
Lungi dall’essere uno strumento educativo, esso dunque si manifesta piuttosto come uno strumento distopico in stile orwelliano. “L'occhio del grande fratello”, se da un lato rassicura certi genitori, dall’altro è in grado di erodere impercettibilmente il loro rapporto con i figli. Per dirla con Deleuze e Foucault, segna una tappa decisiva in quel processo di trasformazione della società disciplinare, fondata sull'educazione, nella società del controllo, fondata su un uso assorbente della tecnologia. Infatti, l’effetto più penetrante e sinistro del registro elettronico è proprio quello di abituare i più giovani, senza che se ne accorgano, a una sorveglianza continua e ubiqua, che li condiziona ad assumere comportamenti in modo automatico e induce in loro un'assuefazione acritica all'intermediazione informatica di ogni attività; sì che diventa atto normale e irriflesso quello di cedere le proprie informazioni personali come corrispettivo di servizi.
Salutiamo quindi con soddisfazione la benemerita iniziativa della scuola fiorentina, che apre finalmente un varco alla messa in discussione di una prassi che si è consolidata cavalcando la generale fascinazione per il progresso, ma che in realtà condiziona pesantemente l’attività didattica e distorce l’esperienza scolastica depauperandola sia di importanti passaggi formativi sia di aspetti non secondari dei rapporti umani coinvolti.
La scuola non deve essere un panopticon, ma un ambiente protetto in grado di educare i giovani all’esercizio della vera libertà.